sabato 8 marzo 2014

Fuori dal coro

8 Marzo 2014. 

Dopo giorni, troppi giorni, è tornato a splendere il sole su questa terra desolata. 
Iniziava davvero a mancarmi il suo caldo tocco sulla pelle. 
È meravigliosa questa primavera in anticipo... Un pò come mi sento io. 
Nella mia testolina bacata immagino di scrivere una pagina di diario. 
"Caro diaro, oggi sono favoloso..." 
Sarebbe l'incipit ideale. 
"Caro diario, sono passati cinque minuti e sono più favoloso di prima.." 
Seguirebbe così. 
Inizio a chiedermi se ho qualche problema mentale... Ma non importa poi così tanto, ho sempre dato per scontato di essere diverso. 
Ho sempre goduto della mia diversità, del fatto che la massa sia sempre qualcosa da cui mi distinguo. 
La mia professoressa di inglese mi ripete ogni giorno quanto io sia DANDY... A dire il vero non mi sento tale. 
Anzi, trovo quasi un'insulto essere definito tale. Ho sempre trovato le etichette qualcosa di futile, limitante. 
Non credo nell'idea che ci si debba vestire e comportare in un determinato modo per shokkare gli altri esseri umani. 
Trovo che il mondo del fashion, del buon gusto, debba essere uno slancio naturale dell'animo umano. 
Credo che la moda, debba essere una naturale espressione del nostro animo.
Credo che quel l'inutile etichetta, quella di DANDY, sia solo un modo come tanti di dire che una persona, me stesso, sia esattamente in un modo, determinato, semplice, studiabile e conoscibile fino in fondo. 
Oggi in questo modo, domani nello stesso. 
Come se fossimo immutabili, tutti quanti, dentro le sicure pareti di una maschera. 
Come se fosse riducibile a tale semplicità la caleidoscopica vita umana. 
Però gli esseri umani ci provano. 
Provano sempre a semplificare le cose difficili, che sono belle in quanto tali. 
Creano immagini, riti, definizioni, limiti dentro cui essere parte del coro. Se sei fuori da quei limiti, sei fuori dal coro, sei diverso, hai perso la retta via, o la fede qualsivoglia. 
Gli esseri umani si creano l'immagine di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Di ciò che è dentro e fuori dal coro. 
Allo stesso modo, creano l'immagine di dio, l'immagine di un dio buono, di un dio padre e persona. 
Creano quel dio, per giustificare questa mera separazione. 
Creano quel dio, guardandosi allo specchio, guardando la propria immagine riflessa, estraniandola dal mondo, innalzandola a divinità, rendendola il limite stesso della loro vita. 
Quello stesso dio, creato per dare giustizia, rettitudine e ordine al mondo, è usato per reprimere, seviziare e perseguitare coloro che decidono di non credere. Di non credere in quelle tanto fallaci, quanto moralistiche regole da quattro soldi.... Tanto vere, quanto una brutta borsa falsata. 
Il mio pensiero è fisso li in questa giornata di sole. 
Mi guardo allo specchio e penso quanto, narcisisticamente, mi teputi favoloso. 
Guardo gli altri, abbracciati dai loro abiti di dubbio gusto estetico, nascosti dietro ad alti muri di pregiudizi religiosi, sociali, politici, e mi chiedo con quale criterio qualcuno abbia avuto il coraggio di decidere per tutti. Con quale coraggio, tutti gli altri, abbiano deciso di andar dietro a quell'uno scellerato. 
Penso a tutto ciò che mi circonda... A quelle nefandezze che accadono qui, dietro l'angolo. A tutte quelle cose che secondo tanti, «non mi riguardano, poiché non sono successe a me...», «è giusto che accada, perché quelle persone sono contro natura...»
Penso alla notte di capodanno.
Un ragazzo, appena trentenne, picchiato e derubato. Solo l'altro ieri sono stati presi i criminali. 
«Si siamo stati noi ad aggredire quel giovane, eravamo ubriachi. Ci dava fastidio il fatto che fosse gay e l'abbiamo voluto punire»
Sono quelle le parole con cui, i tre ventenni, hanno confessato l'accaduto a distanza di più di due mesi.
Nonostante tutto, sono tutt'ora a piede libero, incensurati.... Come se non avessero picchiato nessuno, come se non avessero rubato, tra le altre cose, un'automobile. 
Mi capita spesso, con la naturalezza con la quale si dice una cosa banale e scontata, di ammettere quanto mi ribrezzi il genere umano, quanta pena provi per gli altri, indistintamente. 
La reazione comune, davanti a quelle sentite parole, è quella di guardarmi come se fossi una persona narcisista, piena di me, che si crede superiore a tutto e a tutti... Forse hanno anche ragione in parte. 
Personalmente, penso a quelle parole, come tante altre prima se ne sono sentite davanti a situazioni simili. 
Mi provocano una strana sensazione. 
È per colpa di esseri come quei tre che parlo in quel modo. 
Siamo in Italia, il Bel Paese. Il paese in cui, siamo tutti uguali finché non siamo finocchi, o stranieri. 
Se un ragazzo gay viene picchiato e i fautori del delitto, perché così mi viene di chiamarlo, vengono scoperti... Non accade nulla. 
Se un prete stupra un bambino, il tutto cade nel silenzio e la famiglia del bimbo viene accusata dai compaesani di aver finto tutto per ottenere danaro. 
Se uno straniero stupra un bambino, manca poco che si proclama lutto nazionale e, in poche ore, tutte le persone non italiane diventano criminali stupratori. 
Viviamo in un paese laico in cui, la chiesa, ha più voce in capitolo, su qualsiasi cosa, del popolo italiano. 
Viviamo in un paese in cui, voci di psicopatici, chiedono di trasportare le leggi putiniane contro la propaganda gay e i modus operandi, ad essa connessi, di reprimerne ogni espressione "contro natura"... Del resto, non vi è paese più democratico, di quello in cui non si ha la possibilità di essere se stessi. 
Viviamo in un paese dove su canale cinque si possono vedere le peggio zoccole, le peggio porcherie, ma un bacio omosessuale in seconda serata viene censurato. 
Viviamo in un paese in cui la Bibbia è considerata, dai più, diretta parola di dio... Come se non fosse stata scritta da uomini, come se non fosse stata creata e messa insieme da un conciliabolo di cattolici... Come se non fossero stati scartati tanti libri, candidati a buon diritto a farne parte, perché a quel conciliabolo non piacevano. 
Viviamo in un paese dove, essere froci è contro natura perché lo dice la Chiesa, la Santa Chiesa di Roma. Perché lo dice il verbo che viene dai palazzi Vaticani, sede della più grande sauna gay d'Europa. 
Mi guardo allo specchio, come facciamo tutti del resto, e non vedo l'immagine di una delle tante pecore belanti figlia di un qualunque dio, riflesso di un qualunque uomo in pieno delirio di onnipotenza. 
In quello specchio, in quel bellissimo pezzo di vetro, non vedo altro che me stesso. 
Non vedo altro che il mio bellissimo smanicato da biker in pelle, il meraviglioso foulard di McQueen avorio in pizzo stampato su seta, i pantaloni Skinny neri, le stringate inglesi in cuoio o il meraviglioso maglione in cotone traforato che lascia intravedere la pelle del mio torace. 
Non vedo altro. 
Vedo me stesso, un'individuo tanto particolare, quanto fuori dal coro. 
Mi chiedo, guardandomi, come potrebbe esistere davvero un dio, davanti a tante cose orribili; davanti a tanta disumanità che regna sovrana tra gli esseri umani. 
Mi chiedo come possano usarsi parole con tanta facilità, pur essendo il sintomo di un'umanità  ormai perduta... Se mai la si è posseduta ovvio. 
Mi chiedo come si possa definire democrazia il sistema politico di un tanto malato e corrotto paese. 
Mi chiedo come si possa parlare di un dio, qualunque esso sia, quando lo si usa solo per spargere odio, repressione e disumanità. 

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