sabato 12 gennaio 2013

Closed for holidays

13 Gennaio 2013. Guardare n faccia alla realtà non è mai semplice, è doloroso, è sfiancante, è soffocante, toglie il respiro. Perché la realtà, spesso, fa male. Perché la realtà, è spesso una lama che trafigge le persone in pieno petto, dritta in mezzo al cuore o a ciò che ne resta.
Quel pomeriggio, Narciso, tornò a casa presto, verso le quattro e mezza; sfinito dalla pesante mattinata e dal primo pomeriggio che si era appena lasciato alle spalle. Non ne poteva più.
Si accasciò sul divano, ancora vestito, con il cappotto ancora addosso. Avesse la tv e spese il cervello, stanco di pensare ai problemi, stanco di avere la testa occupata, giorno e notte. Gli stessi pensieri, sempre.
Erano passati otto mesi da quando ci eravamo incontrati.
Otto mesi.
Otto mesi di aghi, esami del sangue, ricoveri lunghi e brevi in ospedale, visite, aspirati al midollo,controlli, problemi.
Quel giorno, dopo l'ennesimo caffè con le persone che amava, disinteressate, assenti, perse nei loro pensieri, lui non ne poteva più. Aveva voglia di prendere quelle persone, stringergli forte le spalle con le mani, guardarle dritte negli occhi e urlargli in pieno volto, con tutto il fiato che aveva nei polmoni, cosa stava accadendo, cosa ne avevano fatto di coloro che amava, che gli volevano bene. Cosa avessero fatto delle persone che molti anni prima gli avevano rubato parte del suo cuore.
Dopo otto mesi, dopo quel caffè, dopo quel primo pomeriggio, si sedette sul divano e, stanco, decise di spegnere il cervello. Decise di ammutolire tutta la baraonda che sentiva, rumorosa, nella sua testa.
Non ne poteva più, non ne voleva più sapere di drammi, non voleva più sentire parlare di loro, di quello che stavano diventando, di quello che provava, della rabbia che ogni giorno sentiva crescere esponenzialmente in ogni fibra del suo essere.
Silenzio.
Nella sua mente, voleva solo silenzio, una tregua, una quiete totale disturbata solo dalle immagini e dai suoni, prodotti dal tecnologico schermo piatto davanti ai suoi occhi.
Silenzio.
Non desiderava altro.
Ultimamente, le cose, la realtà, erano diventate qualcosa che non voleva accettare, che si era stufato di guardare negli occhi, di parlarci e di affrontarla.
Passò in quel modo tutto il resto del pomeriggio, con il cervello chiuso per ferie, conscio della rabbia che cresceva e vibrava dentro di lui.
Erano passiti otto mesi e, quello che una volta era il suo modo di staccare dai problemi e vivere per qualche ora in modo spensierato, senza pensieri, senza drammi, come qualsiasi diciannovenne; era diventato a sua volta un problema, che per il momento, non aveva soluzione, che non aveva voglia di risolvere, che non aveva il tempo di affrontare.