venerdì 20 giugno 2014

• Solitudine •

21 giugno 2014•

Non esiste silenzio più lugubre di quello che senti in un locale, in una discoteca, in un qualsiasi luogo dove migliaia di persone gridano, si muovono, ballano, cullati da un'assordante musica a tutti volume.... In quei luoghi, in mezzo a quelle miaglia di persone, puoi sentire il silenzio più lugubre della tua esistenza. 
Per quanto circondato di vita tu possa essere, li, riesci davvero a sentire la solitudine che ti abbraccia, dolcemente amara come solo lei sa essere. 
Dicono che si nasca da soli e si muoia soli, mi chiedo cosa cambi mentre si vive. 
Una vita, per quanto lunga o breve possa essere, passata alla ricerca di qualcuno, che sia capace di completarci. Una persona, che sia capace di colmare quel vuoto con cui tutti veniamo in questo mondo desolato, fatto di incubi ed atrocità in carne ed ossa. 
Ma esiste davvero la metà di ognuno di noi? 
Esiste davvero, per ogni essere umano, quel qualcuno che completa quel vuoto? 
E se fossimo dispari su questa terra? Sarebbe giusto che un solo essere umano, tanto diverso quanto uguale a tutti gli altri, rimanga solo? 
Esiste davvero la persona che ci completa se in qualsiasi luogo non riesci a sentirti altro che un'essere diverso? 
Vedi le persone attorno a te, percepisci la musica che gli scorre nelle vene, come se prendesse veloce il posto del loro sangue, eppure, tu, non percepisci nulla dentro di te, senti solo quella perenne sensazione di diversità. 
Vorresti poter dire, anzi urlare a gran voce, di non voler essere solo, di non voler sentirti così.... Eppure, dentro di te, hai imparato a vivere così, a star bene... 
Hai imparato a sentirti bene solo, in completa solitudine, lontano da tutti, lontano da tutto.
Hai imparato a sentirti in pace con te stesso, come un'essere imperturbabile, lontano dal mondo, lontano dal tempo. 
L'unica domanda che viene da porti, dopo tutto, è se, forse, non sei proprio tu quell'essere destinato a star solo, senza una metà, senza un'ulinutile ricerca fallimentare da compiere... Perché, alla fine, nasciamo soli e soli moriamo. 

sabato 14 giugno 2014

#Rain

14 Giugno 2014.

Piove... Seduto sull'amaca in veranda, respiro a pieni polmoni l'odore del terriccio bagnato, dell'erba umida, delle goccie che cadono a terra. 
Ne sento il rumore, lieve, come un ticchettio frenico, caotico, fatto di piccoli tic che si rincorrono veloci, come se volessero prendersi l'un l'altro. 
Piove. 
Piove, come accade ogni altro giorno di pioggia. 
Cammino, lentamente, con i piedi scalzi, nel vialetto di casa. 
Le goccie mi scivolano addosso, bagnandomi, veloci, come fossero impalbili, immateriali. 
I piedi, li sento umidi, freschi, cone se fluttuassero su uno specchio d'acqua, opaco, scuro, imperscrutabile. 
Cammino e penso, guardando l'acqua penetrate nelle crepe del telefono. 
Lacrime. 
Tristezza. 
Disperazione. 
Buio smarrimento. 
Sono le prime cose che verrebbero in mente a chiunque, in una giornata piovosa. 
Eppure, non riesco a capire il senso di quelle associazioni mentali. 
Amo la pioggia. 
Amo il suo odore. 
Amo il suo colore. 
Amo quel grigio sporco di cui si tingono le nuvole. 
Penso alla pioggia e niente di più meraviglioso e stupefacente mi viene alla mente.
Uguaglianza. 
Sotto la pioggia, non importa chi o cosa sei. 
Che tu sia etero o gaio. 
Che tu sia maschio o femmina. 
Che tu sia uomo o bestia. 
Sotto la pioggia, tutto e tutti si bagnano, allo stesso modo, indistintamente.