Vivere significa vivere.
Vivere significa provare, in un modo o in un altro, qualcosa.
Ogni momento, ogni attimo.
L'inferno, quello vero, l'oscuro vortice da cui rifuggire sempre è il nulla.
Si deve essere ingordi... voraci di una vita che è cruda e brutale, dolorosa, cattiva, fata di dolore e malvagità.
Si deve essere ingordi di tutte quelle brutture da cui, fin da piccoli, in una visione distorta di essa, ci viene insegnato a scappare, correre, fuggire, col terrore negli occhi e il puzzo della paura nelle vene.
La vita scorre, fluida ed impetuosa, in un impari binomio, tra gioia e dolore. Due attimi in bilico, spesso in un perfetto sbilanciato equilibrio, egualmente meravigliosi, magnifici, ogni volta irripetibili.
Provare.
Provare è la chiave di volta.
Provare, assaporare ogni attimo, come fosse l'ultimo, come in preda di un folle atto di furor Didoniano, di un folle attacco di lussuria.
Provare ogni singolo attimo, assaporare ogni irripetibile sensazione.
Alle volte sbagliare.
Sbagliare brutalmente e grossolanamente, perché, spesso, troppo spesso, ci porta in oscuri, cupi e meravigliosi sentieri che non percorreremmo in nessun altro modo.
Ogni attimo è scandito, in una inesorabile corsa, come un frenetico ticchettio, da microscopiche sensazioni differenti, tutte diverse, ma, al tempo stesso, tutte accomunate da una sola ed una direzione.
L'ultima grande e meravigliosa esperienza, quella epica, per ognuno diversa, per ognuno fatta di una eterna solitudine.
Il grande spettacolo da cui, ognuno di noi, grande o pessimo attore della sua vita, prima o poi, non potrà tirarsi indietro.
L'ultima.
Una delle tante provate in vita, al pari della malattia, della sofferenza, del primo imbarazzante orgasmo, della perdita della persona più importante della propria vita.
Una madre.
Una moglie.
Un marito.
Un figlio.
Qualcuno.
25 anni meravigliosi anni di vita, fatti di questo, esperienze, il cui senso stesso, si annida nelle sue stesse esperienze, nel loro scorrere e fluire le une dentro le altre.
Di recente, una giornalista, una donna che, col senno di poi, posso dire, di un'intelligenza ed un acume invidiabile, mi ha chiesto una breve bio, per riassumere un'intervista registrata di quasi due ore.
Guardando il foglio bianco, la prima cosa che mi è passata per la testa di scrivere è stata il suono, lento ed inesorabile, del mio cuore.
Non il mio nome, non il mio cognome,non la mia anagrafica...,l'Abc.
Il lento, inesorabile fluire del mio sangue.
Niente più del sangue, ricorda più di tutto come sia il fluire delle cose che ci rende vivi... che da senso ad un'esistenza altrimenti vuota.
Prima dei miei cinque anni anni ho dei ricordi fumosi, poco nitidi, come ricoperti da uno spesso strato di polvere, come se fossero racconti della vita di qualcuno che non sono io.
Cinque anni. Un'età a prima vista casuale, eppure, quell'anno a pochi giorni da natale, un arresto cardiaco, muore mia madre.
La prima vera grande esperienza della mia vita.
La perdita.
Un volto impresso a fuoco nella carne viva, un'ossessione, un vuoto incolmabile.
Dal quel momento, la polvere, la nebbia, e l'ovatta nella mia testa sparisce.
I ricordi diventano vividi... la gioia di alcuni momenti, la solitudine, il vuoto, il dolore.
Ogni cosa.
Come se, l'esperienza di qualcosa reale e brutale, abbia per la prima volta dato senso ad una vita altrimenti vuota.
Un'esperienza che, per tutta la vita, forse per la sua crudezza, ha sempre fatto da fondale...È cresciuta e cambiata come me, con me.... passando da semplice vuoto e dolore, a perdita, cicatrice, punto di vista sulla vita, ricordo, piacevole visione di cosa sia e possa essere vivere.
Una fluida trasformazione in costante movimento.
25 anni. Uno spaccato di vita, di esperienze.... di ingorda voglia di provare qualcosa, gioia e dolore.
Solitudine;
Terribile e mortificante dolore;
Orgiastica e devastante gioia;
Solitudine.... un'infinita solitudine, perché alla fine di tutto, si nasce e si muore soli;
Qualcosa.
Una sensazione.
Il senso più profondo dell'essere. Provare per fluire, provare per essere.
Rifuggire dal quel vuoto, da quel nulla cosmico, da quel cieco oblio che ci fa dimenticare di essere, di esistere.
Un dolore, un gioia, una sensazione, un'esperienza tanto forte e vibrante da togliere il fiato.
Una esperienza tanto brutale da uccidere.