Ormai le settimane alla maturità, che a settembre sembravano infinite, sono ridotte ad una misera manciata.
Probabilmente, dovrei essere in ansia o agitato in vista della resa dei conti, dell'esame che dal '68 tedia migliaia, se non milioni, di studenti.
Eppure, la mia unica preoccupazione riguarda il mio personale guardaroba tanto per cambiare.
Mi assedia l'idea di dover presentarmi ad un'orale, davanti ad una ristretta cerchia di insegnanti selezionati a caso, rappresentanti di un sistema educativo fallimentare, con un'outfit completamente sbagliato.
Sotto suggerimento dei miei docenti, della cara madre e del cheto padre la parola chiave che descrive in toto il dresscode dell'evento è APPROPRIATO.... Come se tal termine significasse davvero qualcosa.
Per quanto riguarda il punto di vista, piatto e banale, dei miei consiglieri credo significhi "conformismo ad un triste e limitante stereotipo di abbigliamento maschile pseudo-elegante."
E dico triste e limitante con solide considerazioni di base: un uomo, un ragazzo, un piccolo mostro, definitelo come più vi aggrada, deve essere vestito con giacca, pantalone, scarpa non troppo sportiva e, se proprio si vuole essere al #top , la camicia. Ovviamente una camicia piatta e banale, a righe, o a quadri o monocroma.
Per quanto riguarda il sottoscritto, appropriato non implica un dresscode ben preciso, quanto uno stile di vita.
Appropriato significa vestirsi con eleganza, con un certo stile, che non deve rispecchiare le ultime sfilate viste sulle runway milanesi, parigine o newyorkesi che siano.
Implica una ricerca, prima di tutto detro di noi, che deve essere rispecchiata nel nostro modo di vestire.
Il liceo scientifico stesso me lo ha insegnato.
Cinque anni rinchiuso dentro le grigie mura di una scuola ormai decadente, con la fame di lager, passati a studiare vita, morte e miracoli di personaggi, perché ormai altro non sono, che hanno speso la loro celebre vita a rompere schemi, crearne di nuovi, rivoluzionando il modo di pensare comune.
Cinque anni passati tra le mura di un luogo che per paradigma dovrebbe esse il luogo dove giovani menti dovrebbero curare il loro bagaglio culturale, con lo scopo preciso di permettergli di volare.
Con lo scopo di aprire le loro piccole menti.... Verso la libertà.... Di parola... Di essere ciò vogliono.... Di esprimersi.
Alla fine di civaie schifosissimi anni, sette nel mio caso tra malattie e cose varie, di arriva al fatidico giorno, allo scontro finale che ti mette un poco d'ansia, ma che in realtà, una volta ammesso, le possibilità di kon superarlo sono pari a zero, o cinque quasi pari a zero.
In quel giorno, in cui ad essere messa sotto esame kon è tanto la preparazione, ma la maturità, viene posto un limen... Questo si, tutto il resto no.
Semplice come cosa.
Triste.
Banale.
Insipida.
Mi chiedo cosa ci sia di bello nel conformismo.
Cosa ci sia di piacevole nell'essere stereotipati.
Mi chedo cosa ci sia di bello ad essere adeguati alla situazione, di essere conformi all'immagine di maturando che sta nella testa dei più.
Mi chiedo cosa ci sia di positivo nel dover essere comuni, come uno stelo d'erba in un prato... Uguale a tutti gli altri.
Mi chiedo, nel momento in cui sei qualcos'altro, cosa ci trovino di bello le persone nel tipizzarti, incasellandoti dentro una vaselina chiusa dentro la loro mente ristretta.
Gli stereotipi, nella loro brutale volgari r paradigmatica, sono sempre fioccati. Il primo che mi è stato affibbiato, fin da piccolo, è stato quello di frocio... It lato con cattiveria da un passante a casa, becero e burino. Urlato mi contro, con forza, come se il fatto che potrei succhiare piselli fosse una cosa così importante e definitoria per la mia persona. Eppure, che tu sia finocchio o etero eterissimo, non cambia nulla per la tua persona. Come essere finocchio, ovvero che ce lo si aspetta guardandoti, non ti rende più debole di una maschio da procreazione.
Quest'anno, per la scuola e tra i professori, il banale stereotipo è stato quello di dandy... Come se avere e carattere, forte al punto di mostrarlo in ogni tua sfaccettatura, anche nel tuo modo di vestire, implichi il fatto che tu ti vesta per shokkare il milanese/brianzolo medio, chiuso dentro la sua campana di vetro.
La vita, il mio gioco preferito, quello con cui non riesco a stancarmi di giocare pur avendo ventun'anni, si dimostra ogni giorno un'euforica delusione.
Euforica... Parola che sembra stonare accanto delusione.
Eppure, nella mia testa, si associano in maniera così perfetta...
Delusione, mi sembra ovvio il motivo...
Euforica... Ogni giorno, i incontro persone nuove. Tutte fatte a modo loro. Così interessanti nella loro unicità... Interessanti... Ecco da cosa deriva la mia euforia.
Eppure, tutti accomunati dal demone mistificatorio del giudizio altrui, che usano etero, froci dichiarati, froci non dichiarati, anche con mogli e figli.
L'importante, mi sembra, essenzialmente, avere paura.